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MONZESI
Giulio Fumagalli Romario
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Giulio Fumagalli Romario    Nato a Monza nel 1926, sposato con 5 figli e 12 nipoti. Laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano, è stato assistente alla cattedra di impianti chimici ed ha svolto l'attività di ingegnere libero professionista. Alla morte del padre diventa consigliere delegato e poi presidente della Sol SpA che sotto la sua guida passa da una limitata presenza locale nel settore dei gas tecnici all'attuale insieme di aziende che costituiscono uno dei gruppi leader europei nel settore dei gas tecnici industriali e medicali. Oltre a numerose altre cariche in ambito professionale, è stato per molti anni presidente dell'Associazione Industriali di Monza e Brianza e alla metà degli anni '90 diventa Presidente della Sias, la società che gestisce l'Autodromo Nazionale di Monza. Ha anche fondato e presieduto per molti anni la Società di Studi Monzesi ed è stato promotore e sostenitore della Fondazione della Comunità di Monza a Brianza. Nel giugno 1987 è stato nominato cavaliere del lavoro.

foto di Daniele Rossi


È una persona gentilissima nei modi, ma contemporaneamente ferma e decisa nei contenuti. Non ama le mezze misure e parla sempre con grande franchezza e sicurezza delle proprie convinzioni, tipica di chi è cresciuto nel mondo imprenditoriale ottenendovi i massimi risultati. Ci accoglie nella sua bella casa nel centro di Monza, scusandosi per i lavori di ristrutturazione interna che provocano qualche disordine.

Ingegner Fumagalli, ci descriva brevemente il suo percorso di imprenditore.

Fin dall'inizio della mia partecipazione all'azienda, mi sono molto impegnato per ingrandirla e migliorarla. All'inizio la Sol era piccola cosa, c'erano solo due stabilimenti-officine, uno ad Ancona e l'altro a Livorno. La vera rivoluzione nel settore accadde quando le grandi acciaierie cominciarono ad utilizzare ossigeno per l'alimentazione dei forni. E anche quando i conseguenti grandi impianti di produzione ossigeno consentirono di fornire questo gas sotto forma liquida, con in più moderni sistemi di sicurezza. Chi come noi è riuscito a inserirsi in questo sviluppo è cresciuto e si è ingrandito in tempi relativamente rapidi. Nel far questo mi ha anche molto aiutato la mia formazione di ingegnere chimico, così da avere una competenza anche tecnica su ciò che facevo. Siamo oggi in Italia, nel settore, la maggiore realtà indipendente dalle grandi multinazionali, con uffici in 16 stati europei e stabilimenti di produzione in 13.

Ma, oltre a questa carriera imprenditoriale, Lei si è molto dedicato anche alla sua città, soprattutto con la fondazione della Società di Studi Monzesi e le sue importanti pubblicazioni, non ultima il pregevole volume sulla Corona Ferrea che racchiude lunghi studi storici, artistici e anche materici.

Veda, io credo che un imprenditore debba sempre avere una spiccata sensibilità sociale e coltivare interessi che permettano lo sviluppo dell'intera società e non solo della sua particolare azienda. Quindi non mi è stato difficile far conciliare le due cose. E poi l'idea di far nascere la Società di Studi Monzesi non fu mia. Fu mons. Gariboldi a propormela e io accettai più che volentieri.

Si sente un mecenate nel promuovere queste iniziative?

No, questa è una parola da cui rifuggo. E' un ruolo di visibilità sociale che non mi piace e che non voglio in nessun modo assumere. Credo sia giusto farlo e lo faccio. Questo è tutto. E poi ho anche un motivo “segreto” per dedicarmi a questa attività.

Ce lo riveli.

Io ho iniziato la mia carriera universitaria studiando medicina. Ma scoprii presto che non era la mia vocazione. I miei interessi si orientavano verso la filosofia e frequentai a quella facoltà. Erano i tempi di Banfi, di Cantoni, e le discussioni di quell'epoca esercitavano una grande attrazione su di me. Ma mio padre fu irremovibile e arrivò a dirmi “se vuoi fare questa scelta falla fuori di qua, fuori di casa”. E così passai agli studi di ingegneria. Ma quella passione giovanile mi è rimasta e si manifesta nell'impegno a favore della storia e della cultura di Monza.

E' noto che Lei sia anche diventato e sia tuttora presidente della Sias, la società che gestisce l'Autodromo Nazionale di Monza. Com'è arrivato a questa carica?

Io fui chiamato a dirigere la Sias in uno dei momenti più delicati della sua storia, un momento in cui era in gioco la stessa sopravvivenza dell'impianto. E in quel momento di emergenza si ritenne che al vertice della società dovesse trovarsi un monzese. La FIA (oggi FOM) – ovvero la Federazione Internazionale dell'Automobilismo - ci aveva messo con le spalle al muro. O si risistemava il tracciato secondo le nuove esigenze di sicurezza o avremmo perso per sempre la possibilità di farvi svolgere il Gran Premio di Formula 1. Gli interventi sulla pista furono dunque assolutamente necessari e direi che così li hanno giudicati anche i più. Non va mai dimenticato che l'autodromo è un punto di riferimento mondiale e fa profondamente parte dell'identità della nostra città. E poi c'è un altro importante elemento da considerare.

Quale?

Il fatto che l'Autodromo con tutto il suo notevolissimo indotto rappresenta un grande risorsa economica per la città. E quando si va a vedere cosa ne pensa la gente, la stragrande maggioranza è favorevole ad una sua permanenza a Monza.

E l'annoso tema della provincia?

Credo che quando finalmente ci si arriverà si vedranno bene le ragioni di chi l'ha promossa. E anche se qualcuno sostiene che le province siano un modello di struttura amministrativa superata dai tempi, io rispondo che, finché esistono, crearle è un bene per le comunità locali e questo si è visto in tutte le occasioni in cui si sono create nuove province. Ma la vera e ormai dichiarata ragione per cui a Monza si tarda tanto è che Milano ha paura di perdere la Brianza e soprattutto il massiccio gettito fiscale che le arriva dai nostri comuni.


Torniamo per un momento alla Sua carriera di imprenditore. Ritiene che i metodi dell'imprenditore possano essere trasferiti anche sul piano politico?

No, i metodi non credo, sono piuttosto peculiari. Ma sicuramente si può trasferire alla politica il modo con cui l'imprenditore considera la realtà, l'approccio ai problemi. Veda, per un imprenditore è fondamentale il pragmatismo, che definirei come la capacità di restare legati a grandi idee di fondo ma anche di saperle applicare ai singoli casi concreti, cosa che spesso non è facile. Occorre pragmatismo e buon senso per farlo. Per fare un esempio, io conosco bene l'onorevole Rosy Bindi, ex ministro della Sanità. E' una persona di grande spessore e di una forte e ammirevole carica ideale. Ma non ho approvato molte sue scelte, mi sono sembrate astratte, inapplicabili, un po' velleitarie. Mancavano appunto di quel necessario pragmatismo che trasferisce una scelta ideale in un caso concreto.

Quindi Lei propone una sorta di “pragmatismo illuminato” per i nostri politici. Illuminato dai grandi ideali ma pur sempre pragmatismo.

Sì, lo si potrebbe anche definire così.

E Lei non è mai stato tentato di avviare una carriera politica?

No, è una cosa che non farei mai, perché ritengo di essere stato chiamato, da Colui che ci guida, a fare l'imprenditore. Io credo che un imprenditore possa e debba fare un'utile attività collaterale alla politica, di stimolo e di contributo fattivo ai problemi da risolvere. Ma appunto un'attività collaterale, non diretta.

Carlo Vittone


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 29 marzo 2003